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Le Oche Selvagge di Mahony: gli eroi irlandesi della battaglia di Cremona – testo di Maura Maffei

Gli eroi della battaglia di Cremona

Non erano mercenari ma guerrieri senza più una terra da difendere. Erano irlandesi e, con la loro disperazione e con il loro coraggio, non avevano nulla da perdere. Offrivano il loro brando alle Potenze Europee per guadagnare un’alleanza. Per garantirsi l’appoggio necessario e riconquistare la patria.

Tutto cominciò con un testamento. Si potrebbe obiettare che ciò non rappresenta una novità. Presso il capezzale di un morto si scatenano sovente appetiti formidabili. Ma qui non si trattava d’ereditare un rudere da riattare e un paio di poderi… Qui era in gioco il trono di Spagna!

Il defunto sovrano Carlo II, spentosi nel novembre del 1700, aveva designato quale erede il duca Filippo D’Angiò. Anche a questo punto si potrebbe obiettare che era suo diritto scegliersi un successore di suo completo gradimento. Sennonché Filippo, incoronato con il nome di Filippo V, non era un personaggio qualsiasi, bensì il nipote del Re Sole, di quel Luigi XIV che da oltre mezzo secolo governava i destini della Francia.

La possibilità tutt’altro che remota d’una forte ingerenza francese sulla Corona spagnola allarmò mezza Europa. Non era ammissibile concedere a Luigi il Grande un simile strapotere. La prima ad armarsi fu l’Austria, seguita a ruota dall’Inghilterra di Guglielmo d’Orange, dai Paesi Bassi, dalla Danimarca e dalla Prussia. Sul fronte opposto, al fianco di Francia e Spagna, scesero in campo la Baviera e la Savoia. Si scatenò così quella che fu definita la Guerra di Successione di Spagna e che ebbe come contendenti principali Luigi XIV e l’imperatore Leopoldo d’Asburgo.

La prima mossa austriaca fu quella d’annettersi i territori spagnoli confinanti, ossia il Nord Italia.

Da tempo, infatti, l’Austria voleva Milano e Napoli e mal tollerava che queste due città fossero sotto l’influenza spagnola.
All’inizio di giugno del 1701 le truppe austriache valicarono le Alpi. Era un contingente di 30000 uomini, guidato da uno dei più capaci condottieri dell’epoca, il principe Eugenio di Savoia-Soissons, colui che Napoleone Bonaparte avrebbe collocato fra i sette più insigni strateghi militari di tutta la storia.

La sua abilità, in questa guerra, cominciò a dimostrarla appunto nel superare le montagne con uomini, mezzi e animali, ben sapendo che tutta l’Italia settentrionale era occupata dai francesi. Era impossibile sorprenderli se non passando per valli molto orientali, deserte e inaccessibili, come quelle di Terragnolo e Fredda, che Eugenio non esitò a scegliere.

Una volta in Italia, sbarazzarsi dei francesi si rivelò un compito assai più arduo del previsto. Eugenio aveva contato sul fatto che erano capitanati da un inetto, l’anziano duca Villeroy, un cortigiano che non aveva la tempra del soldato e che era stato scelto da Luigi XIV soltanto perché era suo amico d’infanzia nonché favorito di sua moglie, Madame de Maintenon.

Tuttavia le truppe del Re Sole reggevano agli assalti e si arrivò all’inverno senza mutamenti decisivi. I francesi avevano abbandonato l’Oglio, ritirandosi verso Milano, e gli austriaci avevano scelto Mantova come quartier generale.

Quell’inverno trascorso nell’inattività ossessionava Eugenio di Savoia.

Sarebbe stato costretto ad attendere la primavera per sferrare l’attacco decisivo. In tutta Europa vigeva la consuetudine di una tregua negli scontri armati durante la stagione più rigida, perché il gelo è il più potente alleato del nemico. Ma il principe di Savoia aveva in mente di stravolgerla!

Non poteva permettersi di perdere tempo: si trovava in una situazione d’inferiorità numerica rispetto ai francesi e aveva serie difficoltà d’approvvigionamento. Se non tentava un colpo di mano, rischiava di compromettere l’intera campagna italiana.

L’occasione favorevole per agire gli venne offerta da un prete che, dimentico della neutralità che esigeva il proprio abito talare, andò a spifferare a Eugenio una storia di fognature. Gli rivelò l’esistenza d’una fogna prosciugata che dalla campagna, passando sotto le mura della città di Cremona, roccaforte francese difesa da 7000 uomini, sbucava in piena città, esattamente nella sua cantina.

Il principe di Savoia inventò subito un piano strepitoso. Un piano infallibile.

Nella notte fra il 31 gennaio e il 1° febbraio 1702 lo mise in atto. Pioveva a dirotto quando alcuni granatieri austriaci s’introdussero nella fogna, la risalirono a fatica e raggiunsero la cantina del prete. Da lì strisciarono di muro in muro sino alla porta orientale di Cremona, intitolata a Santa Margherita. Assaltarono il picchetto francese che la presidiava, uccisero tutti i soldati e la aprirono, permettendo alla cavalleria e alla fanteria austriache, che con il favore delle tenebre e del cattivo tempo vi si erano assiepate, d’invadere indisturbate la città. Gli ufficiali francesi dormivano, dormiva lo stesso Villeroy: furono fatti prigionieri ancor prima di svegliarsi dal loro incubo.

Eugenio si sentiva già vincitore. Non gli mancava che attraversare gli ultimi isolati per impossessarsi della Porta del Po e del vicino ponte, che era una posizione strategica. Le sue truppe austriache si mossero in quella direzione, tutte baldanzose. Chi mai le avrebbe fermate?

Seicento dannati irlandesi!

Eugenio di Savoia aveva un sacro terrore degli irlandesi. Già una volta lo avevano sconfitto quando, dieci anni prima, difendendo strenuamente le cittadine di Guillestre ed Embrun, lo avevano respinto dalla Savoia e lo avevano ricacciato oltre il Po. Li considerava “i migliori, fra le truppe nemiche”. Ed ecco che se li trovava di nuovo davanti!

Ma che ci facevano degli irlandesi in Italia, nel bel mezzo di una guerra tra Francia e Austria?

Per spiegarlo dobbiamo fare un passo indietro. Durante tutto il XVII secolo si assiste ad un fenomeno che gli storici chiamano La fuga delle Oche Selvagge. La nobiltà irlandese, che vive ancora secondo il modello sociale della tribù celtica e che si riconosce profondamente nella fede cattolica, non può più sussistere nelle condizioni intollerabili imposte dagli inglesi e dai loro coloni protestanti. Preferisce lasciare l’Isola di Smeraldo. Non per vigliaccheria; bensì per trovare sul Continente le forze necessarie per ritornare e per sbarazzarsi degli inglesi.

I primi ad andarsene furono i nobili dell’Uladh. Il 4 settembre 1607 novantanove di loro, fra cui i capi delle tribù di O’Neill, di O’Donnell e di Maguire, preferirono l’esilio al giogo degli Stuart, da poco succeduti a Elisabetta I Tudor. La loro fuga fu denominata Il Volo dei Conti.

Altri li imitarono durante le violenze perpetrate da Cromwell. Altri ancora furono costretti ad abbandonare l’Irlanda perché nella guerra tra Guglielmo III d’Orange e Giacomo II Stuart, che si contendevano il trono d’Inghilterra, si erano schierati dalla parte del re sbagliato. Avevano perso con Giacomo II sulle sponde del fiume Boyne, nel luglio del 1690, e a nulla era valso il loro eroismo nelle battaglie di Athlone e di Aughrim o durante l’assedio di Limerick per prevalere sul nemico di sempre. Tutti i nobili che si erano schierati con il partito degli Stuart non avevano alternativa: o la morte o la fuga.

Ripararono in Europa e qui misero a disposizione di Francia e Spagna la loro irruenza di guerrieri celtici.

Non furono dei mercenari, come spesso e a torto li si è frettolosamente definiti. Al contrario, combattevano e morivano per meritare l’intervento europeo in Irlanda, contro la Corona d’Inghilterra.

Prima della pace di Ryswyck, nella quale Luigi XIV riconobbe ufficialmente Guglielmo d’Orange quale sovrano d’Inghilterra, c’erano ben 18000 soldati irlandesi fra le truppe francesi. E in seguito ne rimasero comunque circa 6000. Fra questi, seicento dragoni si trovarono coinvolti nella battaglia di Cremona e, senz’ombra di dubbio, ne decisero l’esito. Appartenevano ai reggimenti di lord Dillon, ex governatore di Galway, e del colonnello Burke, il trascinatore di Aughrim.

Torniamo, dunque, al drammatico momento in cui Eugenio di Savoia si trovò davanti gli irlandesi che difendevano la Porta del Po.

A ragion di logica, che motivo aveva di temerli? Erano solo seicento e le truppe austriache, ben più numerose, avrebbero potuto spazzarli via come moscerini.
Eppure lo fecero sudare freddo. Non abbandonarono il posto di guardia, anzi, decisero di difenderlo a costo della vita e prepararono le barricate, sparando all’impazzata sul nemico. L’anima di questa straordinaria reazione fu un ufficiale che si chiamava Mahony e che avrebbe fatto una lunga carriera.

Gli irlandesi non cedevano, anche se venivano attaccati di fronte e su ambo i fianchi. Persino una carica di cavalleria tentò di finirli.
Era mezzogiorno, ormai. Tutta la città di Cremona, fumigante di macerie, era sottomessa agli austriaci. Solo la Porta del Po rimaneva in mano agli eroici irlandesi.
Furioso, Eugenio di Savoia intimò a Villeroy d’ordinare a quei testoni d’arrendersi. Ma il duca francese dette prova d’un insolita dignità rispondendogli che, in quanto prigioniero, non era nella posizione migliore per impartire ordini…

Non potendo espugnarli con la forza, il principe di Savoia decise allora di corromperli.

Chiamò a sé uno fra i suoi ufficiali, che vantava origini irlandesi, e lo mandò a trattare con le Oche Selvagge di Mahony. Tra irlandesi si sarebbero compresi, no? Il messaggero recava una proposta davvero allettante: paghe raddoppiate e avanzamento di grado se avessero accettato di passare in blocco all’esercito imperiale austriaco!
Peccato che Eugenio di Savoia avesse fatto male i suoi calcoli, perché Mahony non era un traditore. La proposta lo indignò talmente che, di rimando, fece prigioniero l’ufficiale che la recava.

Del resto, Mahony era convinto d’uscirne vittorioso. Non avrebbe potuto perdere, infatti, non in quel giorno, non in quel 1° febbraio dedicato a santa Brigida patrona d’Irlanda e memoria di Imbolc, l’antica festa celtica della luce.
Pur piangendoli, non si preoccupava dei suoi 223 caduti perché Eugenio, di morti, ne aveva avuti 2000…

Erano gli austriaci a trangugiare il calice amaro della disfatta.

Alle cinque della sera, non potendo più tener testa agli irlandesi, Eugenio di Savoia prese una risoluzione sofferta ma improrogabile: fece suonare la ritirata. Gli austriaci se ne andarono via mogi mogi, attraverso la porta di Santa Margherita da cui erano venuti. Le Oche Selvagge di Mahony dominavano Cremona.

La Francia di Luigi XIV vinse quella battaglia ma dimenticò di dimostrare la sua gratitudine agli irlandesi.

Troppe volte l’Europa si scordò di farlo nella storia ed è anche per questo motivo che l’Irlanda, pur avendo degli eroi tra i suoi figli, dovette aspettare otto secoli prima di tornare a essere libera.

Quanto all’Austria, la lezione patita a Cremona fu esemplare. Gli Absburgo non vollero più trovarsi degli irlandesi nelle file nemiche, anzi fecero di tutto per accaparrarseli e per inquadrarli nell’esercito imperiale. Sotto Maria Teresa, ben tre fra i più valorosi generali erano irlandesi: Lacy, Laudon e O’Donnell.

Che ne fu di Mahony e delle sue Oche Selvagge?

Il gagliardo ufficiale entrò nell’armata spagnola, traendosi appresso il suo “stormo” di dragoni. Si trovò a difendere Alicante dagli odiati inglesi, con la stessa audacia con cui aveva custodito Cremona. Combatté ad Almanza e conquistò Alcira e Cartagena. Contribuì ad appianare una rivolta in Sicilia. Il re di Spagna lo nominò luogotenente generale e gli assegnò il titolo di conte di Castiglia.
Mahony fu un guerriero eccezionale. Non avrebbe meritato anche lui, insieme con Eugenio di Savoia, una citazione nella Top Seven di Napoleone? Ma chi non ha una patria, chi non ha più radici, non fa testo e non compare nelle classifiche.

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